DANZARE SULLE MACERIE DEL PASSATO. SU ISTINTO OCCIDENTALE (1988)

Mercoledì, 14 Febbraio, 2018 - 17:13

Lo sguardo del Nord America sul continente europeo: se Nel tempo tra le guerre adottava e riformulava un punto di vista e un immaginario precipuamente latinoamericani, questa seconda parte del progetto Dura madre mediterranea è costruita partendo dalla biografia e dalle opere di quegli artisti americani che, nei vent’anni trascorsi fra la Prima e la Seconda guerra mondiale, attraversarono l’oceano Atlantico attirati dalla vitalità della – ancora per poco – democratica Francia. Laboratorio Teatro Settimo, in particolare, sceglie quale motore per la costruzione dello spettacolo Tenera è la notte di Francis Scott Fitzgerald, ma, puntualizza la compagnia nel programma di sala: «non è stata l’immagine stereotipata della Parigi dell’età del jazz a guidarci, né il Fitzgerald della Costa Azzurra, dei ricchi irrequieti, delle piscine illuminate. Andando oltre la patina luccicante dei mille racconti scritti per mantenere una vita al di sopra delle sue possibilità, si incontra un Fitzgerald irrequieto, permeato di nostalgia per una precedente condizione di benessere “naturale” che non c’è più. La sensazione di vivere dopo il tempo dell’armonia, ormai irrecuperabile, si trasforma in malattia ereditaria, tara che infonde l’incapacità, l’impossibilità di essere». Filo rosso dello spettacolo, dunque, è la nostalgia, ovvero quell’invincibile sentimento che accompagna le esistenze di coloro che avvertono se stessi quali “sopravvissuti”, portatori per tramite genetico della memoria di un’età migliore, in cui speranze e sogni potevano tramutarsi in realtà. Ma a F.S. Fitzgerald, così come alle generazioni nate dopo la Seconda guerra mondiale, non restano che le macerie e non è caso che una data campeggi per tutta la durata dello spettacolo, una scritta luminosa sulla parte alta del palcoscenico che recita: 21 dicembre 1940.

La data della morte di Fitzgerald, una notizia inevitabilmente schiacciata da un altro accadimento, ossia l’infervorata dichiarazione di Hitler che accusava gli Stati Uniti di aggressione morale nei confronti dell’Europa. “Istinto occidentale” dunque quale «istinto di morte» – così lo definisce Marco Palladini nella sua recensione (Elementi di tenerezza della notte europea su Paese Sera, 13/03/1989), sottolineando come esso «stringe alla gola, soffoca Dick Diver, psichiatra e alcolizzato e la moglie Nicole, ricoverata per disturbi psichici». La drammaturgia opera una sovrapposizione fra la biografia reale di F.S. Fitzgerald – e di sua moglie Zelda – con quella letteraria di Dick, il protagonista di Tenera è la notte, e accanto a loro fa agire altri personaggi, pazienti ovvero parenti, amici, conoscenti, cui danno corpo i cinque interpreti. Una moltitudine di personaggi cui rimandano quei significativi oggetti di scena che sono i portaritratti estratti da un vistoso mobile bar – o forse grammofono – prima ancora che lo spettacolo abbia inizio, mentre il pubblico sta entrando in sala. Fotografie che alludono altresì a quell’idea di memoria che percorre il lavoro e che vengono in qualche modo duplicate da lamine bronzee, simili a dagherrotipi, che ondeggiano sul fondo del palco, creando a tratti un cielo stellano, allorché la loro luce si riflette su un telo di lino bianco. Ci sono, poi, le valigie fatte cadere dall’alto, e, nella seconda parte dello spettacolo, un cumulo di bottiglie di champagne vuote, «con cui, alternativamente, gli interpreti “flirtano” o lottano, inciampandovi, in improvvisi impeti nevrotici: in breve, un solo (e in fondo trascurabile) oggetto finisce per racchiudere l’intero mito di quel mondo dorato sull’orlo del baratro» (Enrico Fiore, Una tenera madelaine bagnata di champagne, su Il Mattino, 7/04/1989). Memorie di un mito che forse non è mai stato realtà e per il quale, nondimeno, non si può che avvertire invincibile nostalgia, un sentimento che si nutre, però, anche – e inevitabilmente – della propria biografia e della propria esperienza esistenziale, come acutamente osservò Ugo Volli, descrivendo la drammaturgia come: «aperta, curiosa di piccoli particolari e desiderosa soprattutto di miti, di incanti, di figure concrete ma risonanti, che qui sono tratte dal romanzo di Fitzgerald.

Ma questi miti sono vissuti da qui, dalla periferia industriale del Piemonte, ed è evidente da tutto, dalle facce e dai costumi, dalle muciche e dai gesti, che non si vuol raccontare il sogno europeo degli americani, ma il sogno che intorno a questo sogno hanno fatto gli attori di Settimo e il loro regista Gabriele Vacis. Il risultato di questo doppio riflesso non è però una freddezza o uno straniamento, ma una sorta di clima da favola, una velatura poetica della realtà» (Champagne, vacanze, follie nel lontano sogno americano, su La Repubblica, 25/01/1989). Una favola senza lieto fine e attraversata da struggente nostalgia, quella della voce registrata dallo studioso Gavin Bryars, forse appartenuta a un passeggero del Titanic che continuava a cantare mentre la nave affondava. Una voce flebile e malcerta che, nondimeno, impedisce ai personaggi, affogati nel mare di bottiglie di champagne, di comunicare ancora fra loro.

Laura Bevione

ISTINTO OCCIDENTALE, progetto, direzione, composizione di Gabriele Vacis, Laura Curino, Roberto Tarasco. Immagini, allestimenti di Lucio Diana, Mariella Fabbris, Adriana Zamboni. Con Gabriella Bordin, Laura Curino, Mariella Fabbris, Lucilla Giagnoni, Massimo Tradori. Debutto: Firenze, Teatro di Rifredi, dicembre 1988.

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